cartoline di Sicilia

Selinunte

SELINUNTE

Sita presso la foce del fiume dove cresce ancora il prezzemolo selvatico (selinon) che diede il nome al corso d'acqua ed alla città, si avvalse della sua felice posizione per esercitare i suoi fruttuosi commerci soprattutto con i Punici che vivevano nella parte più occidentale della Sicilia. Fu fondata dai Megaresi di Sicilia nella seconda metà del VII secolo a.C. in prossimità di due porti-canali, oggi insabbiati, estremamente versatili per l'impianto di intensi commerci marittimi. Fu grazie a questa sapiente esaltazione del ruolo geografico di Selinunte che i loro abitanti, nell'arco di poco più di due secoli, raggiunsero una floridezza economica che ha pochi confronti nel mondo greco e siceliota / magno-greco. Costruirono ed ampliarono una città di dimensioni grandiose, dotandola di numerosi edifici di culto e di opere pubbliche di primissima qualità.

Purtroppo Selinunte, forse suo malgrado, fu coinvolta nel clima di ostilità che si vennero a creare fra Greci e Punici sul finire del V secolo a.C.. Così dal 409 a.C. in poi perse il suo splendore urbano divenendo un importante centro commerciale punico. Senza più guardare alle finezze della sua struttura urbanistica i Punici piazzarono semplici abitazioni un po' ovunque, anche fra i ruderi dei templi, sovvertendo l'originaria articolazione funzionale delle aree. L'impianto urbanistico greco si colloca ai livelli più alti della storia dell'urbanistica moderna. L'incredibile numero e qualità dei templi è, effettivamente, una peculiarità selinuntina.

Sull'acropoli i Greci eressero ben quattro templi paralleli e vicini nell'area meridionale destinata al culto ed alle attività pubbliche, oltre ad altri sacelli minori più antichi o successivi. Il tempio O, il più meridionale, doveva avere sei colonne sulla fronte e quattordici sui lati lunghi.Ad esso si affiancava il tempio A, quasi simile. Le lettere che li designano dimostrano la difficoltà della loro identificazione sotto il profilo della destinazione culturale. Tuttavia potrebbe trattarsi di Poseidone e dei Dioscuri, basandoci sulla famosa "Grande Tavola selinuntina", vero e proprio catalogo dei culti cittadini, rinvenuta nel tempio G, sulla collina orientale.

L'area sacra meridionale dell'acropoli di aveva, nella sua parte più elevata, due templi di maggiori dimensioni: il C ed il D. Il tempio C, uno dei primi ad essere stato costruito e parzialmente ricostruito circa mezzo secolo fa.E' uno dei più antichi esempi di architettura templare dorica esistente, essendo datato alla prima metà del VI secolo a.C.. Presenta sei colonne sui lati corti e diciassette su quelli lunghi.La sua pianta risulta notevolmente allungata, così come le colonne, in parte monolitiche ed i triglifi (gli elementi che separavano gli spazi metopali sull'architrave). Tali spazi, sui lati corti, erano decorati da metope in parte recuperate e conservate al Museo Archeologico Regionale A.Salinas di Palermo.

Il tetto era decorato da ricche e variopinte decorazioni a bassorilievo di terracotta raffiguranti elementi floreali, mentre il timpano anteriore (lo spazio triangolare al di sopra dell'architrave) presentava la gigantesca testa di Gorgone (mostro mitologico dall'aspetto grottescamente terrifico) che rivela l'abilità dei coroplasti selinuntini. Sulla collina orientale i cumuli di rovine assumono dimensioni grandiose. I tre templi ivi costruiti crollarono sotto i colpi dei terremoti.Di essi uno è stato ricostruito, il tempio E, dedicato ad Hera o ad Afrodite. La sua conformazione attuale rispecchia il suo stato finale, assunto intorno alla metà del V secolo a.C.. Scavi recenti hanno dimostrato che, quasi sovrapponendosi, altri due templi simili vennero costruiti precedentemente sin dalle prime fasi di vita della colonia.Il tempio E possedeva alcune metope figurate che ornavano la sua parte frontale. Furono realizzate con calcarenite locale, ma per le parti nude femminili si usò del marmo.

Raffigurano Eracle con l'amazzone, il matrimonio sacro di Zeus, Artemide e Atteone, Atena ed Encèlado. Ma i ruderi più impressionanti sono, senza dubbio, quelli del colossale tempio G, il più grande dei santuari selinuntini e tra i più grandi di tutto il mondo greco. Era lungo 113,34 metri per 54,05. Le colonne erano alte 16,27 metri ed il solo capitello era 16 metri quadri nella sua parte superiore. L'altezza totale era di 30 metri circa. Si pensa che la sua costruzione fu iniziata intorno al 530 a.C., ma non potè essere mai completato poichè la distruzione della città sopraggiunse in anticipo.

Non si è ancora certi circa la divinità alla quale era consacrato. Ma non si sbaglia se si individua o in Apollo o in Zeus, grazie alla lettura della già ricordata "Grande Tavola selinuntina". Sulla base del medesimo documento sembra probabile che il tempio fosse stato adibito anche a sede del "tesoro pubblico", ossia a luogo di deposito sicuro dei valori della città. Il fatto che negli stessi anni i Selinuntini eressero il proprio ' thesauròs' (la propria rappresentanza diplomatica, diremmo noi oggi) ad Olimpia offrendo in dono un 'sélinon' aureo (ossia la raffigurazione del simbolo vegetale cittadino), farebbe propendere per una attribuzione a Zeus del colossale tempio che ha confronti soltanto con gli Olympeia di Siracusa ed Agrigento e con alcuni templi delle colonie greche in Asia Minore.

L'area fu densamente ripopolata durante l'occupazione punica della città con numerose casette che utilizzarono i ruderi esistenti come materiale di costruzione. Tra le abitazioni, quartiere per quartiere, i Punici piazzarono delle piccole aree sacre senza un criterio urbanistico preciso. Del resto esse erano costituite da semplici vani quadrangolari dove, su improvvisati altarini d'argilla, venivano sacrificati animali vari. Le ceneri del sacrificio venivano, infine, deposte entro vasi ed anfore di varia forma in un angolo dello stesso vano. Si trattava, in breve, di piccoli tofet rionali che nulla avevano di monumentale.

A proposito dei monumenti sacri post-greci si farebbe torto ai Punici se si volesse negare loro ogni intento architettonico. Invero realizzarono un tempietto a quattro colonne frontali con colonne ioniche e trabeazione dorica proprio presso l'angolo del tempio C. Si tratta del tempietto B, tipico esempio di mescolanza di ordini diversi in voga fra i Punici che, privi di ferree regole architettoniche, potevano sbizzarrirsi in ecclettismi di vario tipo. Anche la funzione cultuale doveva realizzarsi nella devozione all'ecclettica figura di Asclepio (Eshmun per i Punici). E' probabile che in quest'esempio di commistione architettonica e culturale si manifesti la presenza di Greci rimasti nella città anche dopo la conquista punica.

Sia l'acropoli che l'area residenziale di Manuzza erano circondate da un poderoso sistema di mura difensive quasi totalmente distrutto. Le mura oggi visibili che circondano la sola acropoli furono erette poco prima della definitiva caduta della città in mano punica. Anche i Punici, infine, apportarono delle modifiche per rendere ben difesa la loro roccaforte fino alla conquista romana di questa parte dell'isola.Verso Oriente un poderoso muro a gradoni colpisce subito il visitatore per la sua regolarità geometrica. Si tratta di un tratto della cinta muraria che, oltre ad avere la funzione di continuare la cortina difensiva dell'acropoli, era stato creato per contenere un enorme terrapieno previsto per l'allargamento della superiore terrazza sacra.

La costruzione dei templi aveva, nella seconda metà del VI secolo a.C., creato dei problemi riducendo enormemente l'area sacra dell'acropoli. In realtà siffatti monumenti non riuscivano ad avere quel respiro visivo che soltanto un'ampia spianata ad essi antistante poteva dare. Fu così che, con fantasia e ingegno, si risolsero due problemi con una sola opera muraria: dare respiro monumentale ai templi e dotare la città di salde difese.La posizione dell'acropoli era estremamente privilegiata per il suo protendersi verso il mare fra le due insenature di Oriente ed Occidente. La sua elevazione sul mare era notevolmente equilibrata poichè permetteva un facile controllo dei due porti, ma, al contempo, era ad essi legata da brevi e facili accessi. Non si conosce ancora bene il rapporto esatto fra impianti portuali e area residenziale e pubblica dell'acropoli, ma è facile intuirne gli stretti nessi viari e funzionali. Le aree immediatamente prospicienti i porti dovevano essere caratterizzate da una fitta rete di botteghe e magazzini i cui resti affiorano qua e la fra i vigneti e fra le dune di sabbia. Finora soltanto l'inizio di alcune strade e scalinate che scendevano verso i porti è stato chiaramente identificato.

Gli artigiani selinuntini furono altrettanto bravi nella realizzazione di opere in bronzo Ma la scultura selinuntina non si limita a opere destinate solamente ai grandi templi, ma era presente anche in monumenti minori, come, probabilmente, il cosiddetto santuario delle piccole metope sull'acropoli. A questo edificio sono da attribuire, probabilmente, due piccole metope, utilizzate successivamente come materiale da costruzione, e recentemente rinvenute durante lavori di restauro delle mura.Anche la produzione ceramica e coroplastica ebbe, a Selinunte, un vigoroso impulso.Grazie all'importazione continua di prototipi greci, i vasai ed i coroplasti selinuntini avevano la possibilità di elaborare il loro artigianato in perfetta assonanza con quello della madrepatria.Particolarmente suggestivo ed impressionante è il gruppo di statuette rinvenute presso il santuario della Malophoros, all'estremità occidentale dell'area urbana di Selinunte. Si tratta di migliaia e migliaia di raffigurazioni divine (Demetra principalmente) caratterizzate dagli attributi più diversi (con animali, con collane, con bambini, con frutta etc.) che venivano offerte alla divinità in funzione delle più svariate richieste.

Oltre ai templi con peristasi, ossia con colonnato, Selinunte offre, nella sua appendice occidentale, al di là del fiume Modione, una lunga teoria di santuari privi di peristasi ma non per questo meno suggestivi. E' l'area del cosiddetto santuario della Malophoros dove numerosi sacelli dovevano affiancarsi ed aprirsi sulle sponde del fiume allora navigabile. Tali santuari dovevano assolvere alle funzioni del culto di massa; ma la loro collocazione periferica, nonchè particolari cultuali, inducono a pensare che si trattasse di culti che avevano valore anche per gli indigeni e per i non greci. Si tratta, quindi, di una sorta di cerniera di collegamento fra Greci non Greci, funzionale al pacifico espletarsi delle varie attività della colonia.


SEGESTA

segesta_teatro

Segesta è la più importante delle città elime. La sua posizione è estremamente suggestiva poichè essa si trova adagiata su un sistema collinare che assume variegate fogge, abbellite dall'inserimento dei suoi monumenti principali: il teatro ed il tempio.

La leggenda dice che fu fondata dagli scampati alla guerra di Troia guidati da Enea, il quale, prima di approdare a Roma, vi lasciò una cospicua colonia di suoi concittadini, tra i quali il vecchio padre. Leggenda a parte, la ricerca archeologica ancora agli inizi non ha verificato con chiarezza l'esistenza di chiari legami culturali fra questa città ed il mondo elimo in generale, e alcune aree dell'Asia Minore. Gli Elimi furono, comunque, un popolo estremamente raffinato e per questo soggetto agli influssi dominanti della cultura greca siceliota, ma non in posizione subalterna, come tutte le popolazioni cosiddette indigene della Sicilia.Gli Elimi mantennero rapporti con le civiltà limitrofe, ma cercando di avere sempre una autonomia che li portò a contrastare con i Greci in alleanza con i Punici e con questi ultimi in alleanza con Roma.

Segesta ben presto divenne una potente città che ebbe, pertanto, un rapporto quasi sempre conflittuale con Selinunte, forse anche per le rispettive posizioni geografiche contraddittorie. Fu per questa sua posizione politico-militare che ebbe rapporti quasi sempre amichevoli con i Punici. Ma, molto saggiamente, intuendo la nascente potenza romana, passò prestissimo dalla parte dei Romani, nel 260 a.C.. Fu grazie a questa mossa politica ed in nome delle comuni origini troiane che i Romani la esentarono dal pagamento di tributi e le diedero, inoltre, una certa autonomia politica e di controllo territoriale.

Gli elementi più significativi di Segesta sono il teatro, il tempio ed il santuario di contrada Mango. Essi rappresentano ovviamente le funzioni del culto, delle rappresentazioni e della politica.

Delle altre componenti della città si conoscono le mura con l’articolata Porta di Valle, alcuni quartieri residenziali e alcuni monumenti pertinenti Segesta medievale (mura, castello, moschea e borgo sommitale)

Il teatro fu costruito o intorno alla metà del IV o nel II sec.a.C. (vi sono due teorie al proposito) in quel punto per le intrinseche qualità panoramiche dell'area cacuminale del monte Barbaro. Nel sito del teatro si trovava una grotta con materiale dell'età del bronzo, successivamente inglobata nella costruzione. E' curioso notare che lo stesso fenomeno sia avvenuto in occasione della costruzione del teatro di Siracusa. E' ovvio che le maestranze e gli ideatori del teatro di Segesta erano di ambiente ellenico data la canonicità del progetto. Si tratta di uno dei più riusciti esempi di architettura teatrale collocabile nel passaggio dal tipo greco a quello romano. La cavea era in parte scavata nella roccia, in parte costruita con un poderoso muro di contenimento.E' logico supporre che, malgrado il teatro si trovasse in una città non greca, esso doveva avere quelle funzioni e quel ruolo nella città quasi identico a quello che un analogo monumento aveva nelle città greche. Fu sempre visibile nel paesaggio. Fu parzialmente scavato agli inizi del secolo e recentemente restaurato. E' oggi parte della zona archeologica visitabile di Segesta e viene periodicamente utilizzato per rappresentazioni teatrali.

Il tempio, di tipo dorico, sorgeva in una suggestiva posizione extra-urbana, su un poggio ben visibile anche da lontano. La sua struttura lievemente diversa dai templi greci canonici, l'assenza di ogni struttura interna (cella, adyton etc.) e il suo essere in una città non greca, hanno generato un dibattito acceso fra gli studiosi. Alcuni pensano che si tratti di un prodotto di tipo greco per un culto greco. In tal senso le anomalie riscontrate non avrebbero alcun peso e la cella, al suo interno, sarebbe stata indiziata al livello di fondazioni essendo, per questi studiosi, il tempio un'opera non finita. Altri, invece, dicono che si tratta di un semplice recinto sacro a cielo aperto per un culto non greco. La mancanza di cella e tetto sarebbero fattori conseguenti all'adozione di un modello greco soltanto nel suo aspetto esteriore e formale. Sarebbe logico pensare che la vicinanza delle città greca, prima fra tutti Selinunte, abbia generato l'idea di costruire un grande e vistoso edificio templare alla maniera greca, ma adattandolo alle proprie esigenze di culto ed alla propria cultura.

Qualunque sia stata l'organizzazione interna del tempio ed il tipo di culto praticato, è chiaro che la sua funzione preminente era quella religiosa. Purtuttavia, data la suggestione del luogo e l'ampio respiro dell'area nella quale sorge il tempio, è ovvio pensare che tutta la zona fosse un punto nodale nella struttura urbana di Segesta e nei suoi percorsi. Fu costruito alla fine del V sec.a.C. Seguì le vicissitudini della città non subendo, però, alcuna distruzione vistosa. E' uno dei rari esempi di templi dorici che non sono mai crollati. Esso è rimasto attraverso i secoli un elemento insito nel paesaggio, al pari degli elementi naturali circostanti. Soltanto di recente sono stati effettuati restauri e consolidamenti della pietra che l'erosione aveva intaccato. E' oggi una delle maggiori attrattive della zona archeologica di Segesta e dell'intera Sicilia.

Il santuario di contrada Mango fuori le mura doveva essere stato realizzato nel VI sec.a.C. Non sappiamo se la logica che guidò i Segestani a costruire il santuario in questione fosse stata la stessa che spingeva i Greci a costruire estese aree sacre al di fuori delle mura. Il santuario è di proporzioni notevoli. Un muro di temenos racchiude una vasta area entro la quale dovevano esistere più edifici indiziati da numerosi elementi architettonici quali capitelli, colonne etc. Purtroppo lo scavo che lo ha messo in luce non è che agli inizi sicchè è prematura qualsiasi considerazione comparativa. Non sappiamo nulla sulla destinazione cultuale del santuario.

Sempre pertinenti la città ellenistico-romana sono l’agorà ed un’edificio abitativo di grande pregio definito la “casa del navarca” per le decorazioni a prora di nave scolpite sui fianchi di un elegante peristilio.

Pertinenti la fase medievale dell’occupazione dell’area sono, oltre ai rifacimenti delle mura di cinta, il castello medievale annesso al teatro, le due chiese di epoca normanna e post-medievale, il quartiere medievale e la moschea.

TINDARI

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La città greca di Tyndaris, secondo quanto tramanda lo storico Diodoro Siculo,venne fondata intorno al 396 A.c. da Dionigi il Vecchio, tiranno di Siracusa, per installarvi contingenti di mercenari occupando una vasta porzione del territorio appartenente alla città indigena, poi ellenizzata, di Abacaenum (l'odierna Tripi), su un erta conformazione rocciosa ala cui formidabile valenza strategica condizionò le diverse fasi storiche della città.Legata militarmente a Siracusa fu poi, durante la prima guerra punica,base dei Cartaginesi, di cui era alleato Ierone II ma dopo la battaglia navale del 257 a.C, combattuta nelle acque fra Tindari e le Eolie fra la flotta romana,al comando di Attilio Regolo, e quella cartaginese, si assoggettò a Roma.

Base strategica di Sesto Pompeo durante la guerra civile con Ottaviano, Tindari fu conquistata da quest'ultimo nel 36 a.C e successivamente vi fu dedotta una colonia nell'ambito dell'assetto amministrativo dell'intera Sicilia dovuto ad Ottaviano Augusto. Divenne una delle più fiorenti città della Sicilia durante l'età imperiale,come documentano le sue vestigia.In diverse fasi della sua storia subì ingenti danni e distruzioni:per una frana nel I secolo d.C. e per due violenti eventi sismici nel IV secolo d.C. Sede vescovile in età cristiana ,venne distrutta dagli arabi nell'836.

E' possibile seguire gran parte del percorso della fortificazione a doppia cortina di blocchi in arenaria a disposizione isodoma,con torri quadrangolari e grande porta a tenaglia nel settore sud-occidentale: venne impiantata all'inizio del III secolo a.C. al di sopra di un primo apparato difensivo risalente alla fondazione della città.Il settore della città rivolto verso mare venne invece fortificato solo fra l'età tardo imperiale romana e bizantina alle quali risale il rifacimento dell'intera cinta.

Il tracciato meridionali delle fortificazioni può essere seguito dal visitatore per un lungo tratto risalendo, attraverso una stradella demaniale, dalla porta a tenaglia alla torre fortilizio bizantino presso le scuole elementari,davanti all'ingresso della zona archeologica.In base al percorso delle mura l'estensione della città in età romana può stimarsi intorno ai 27 ettari.

L'Impianto urbano, il cui primo assetto, risalente con molta probabilità alla fondazione, sembrerebbe in base alle testimonianze archeologiche,e essersi conservato senza soluzione di continuità attraverso la pressoché intera età romana,presentava un tessuto regolare intelligentemente adattato alla particolare geomorfologia del sito ed alle curve di livello,con isolati (insulae) dell'ampiezza di circa 30 m. e della lunghezza di m.77-78, costituiti dall'incrocio ortogonale di tre principali arterie viarie(decumani) in direzione sud-est-nord-ovest, ciascuno della larghezza di otto metri, con una serie di strade trasversali di larghezza minore (cardines) in discesa,ciascuna ampia tre metri.

La determinazione della rete viaria e della cadenza degli isola si deve alle esplorazioni sistematiche condotte unitamente a impegnativi interventi di restauro nel secondo dopoguerra, sino almeno agli anni 70,dalla Soprintendenza alle Antichità di Siracusa,sotto la direzione di L.Bernabò Brea e M.Cavalier, nel settore meridionale –dove fra l'altro è stata messa in luce l'insula IV, ed all'estremità sud-occidentale,in c/da Cercadenari, dove la Soprintendenza di Messina(Sezione ai Beni Archeologici) ha condotto nuove campagne di scavo nel 1993, nel 1996 e nel 1998.L'ampia fascia della zona archeologica demaniale attualmente aperta al pubblico comprende l'insula IV,delimitata a Sud e a Nord dai decumani meridionale e centrale, la cosiddetta Basilica e il teatro.

L'insula IV, disposta lungo un pendio, è caratterizzata da un'articolazione degli edifici su terrazze; in quella inferiore si aprono sul decumano mediano, sei tabernae (botteghe) mentre sulle successive si sviluppano due case (la casa B, più ampia e ricca, e la soprastante casa C), entrambe con ambienti disposti attorno a un grande peristilio a colonne dai capitelli dorici in pietra.Il tablinum (sala di rappresentanza )della Casa C presentava un prospetto a due colonne con capitelli fittili in stile corinzio-italico.Entrambe le case, costruite nel I secolo a.C, su precedenti abitazioni di età timoleontea, sono state oggetto di ristrutturazioni e restauri nell'età imperiale,quando ai pavimenti decorati con tasselli di marmo colorato, in opus signinum(tesserine bianche su cocciopesto) e a mosaici policromi ne vennero sostituiti altri a mosaici figurati in bianco e nero.

Nella parte superiore dell'insula venne realizzato in edifico termale pubblico a cortile colonnato, coi pavimenti dei vari ambienti decorati a pregevoli mosaici figurati in bianco e nero: il simbolo della Trinacria, un toro e i due pilei(elmetti) dei Dioscuri (protettori di Tindari), due pugilatori con indicazioni dei nomi (Verna e Afer), il dio Dioniso etc.

Il decumano superiore conduceva verso sud-est all'Agorà (il foro di età romana), solo parzialmente esplorata, attraverso la cosiddetta Basilica, imponente propileo con grande galleria centrale voltata il cui spazio è suddiviso trasversalmente da nove archi: è inoltre fiancheggiata da due strade sormontate da archi “a cavalcavia”.

I dati di scavo condurrebbero a datare non prima del IV secolo d.C. questo singolare complesso,che unisce la tecnica costruttiva a blocchi parallelepipedi di arenaria di tradizione ellenistica all'impiego nelle volte del calcestruzzo, peculiare della cultura architettonica romana.Nel settore ovest della zona archeologica attualmente attrezzata per la visita, a sud-ovest del decumano superiore, si dispone il teatro, realizzato verso la fine del IV secolo a.C ed ampiamente decorato in età imperiale romana quando fu destinato agli spettacoli circensi.La cavea è rivolta al mare: un tratto della scena, a “parasceni” è stato ricomposto e ricostruito in situ.

L'Antiquarium, all'ingresso della zona archeologica, di recente oggetto di lavori di consolidamento statico e di adeguamento degli impianti di sicurezza,è ora in corso di riallestimento e potenziamento.

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