Dialetto siciliano home la Lingua Siciliana, così come la maggior parte delle lingue attualmente parlate, è stata ed è una lingua in continua evoluzione alla quale hanno contribuito (e contribuiranno), in misura più o meno rilevante, una serie di idiomi parlati dalle popolazioni indigene e conquistatrici (in senso lato, quindi anche a livello di influsso culturale esterno,come quello esercitato attualmente nel mondo dalla Lingua Inglese). In particolare si ritiene che l'influsso maggiore alla formazione del Siciliano sia arrivato dalla Lingua Latina nel senso che la stessa sia addirittura da ritenersi come base per il Siciliano stesso in quanto, con processo lento, si impose nell'isola ai precedenti idiomi che, però, contribuirono alla formazione della varietà regionale di Latino Volgare che, con un altrettanto lento processo, avrebbe portato, nell'età medioevale, a un idioma ormai distinto dal Latino, appunto, il Siciliano. Partendo dai tempi remoti, possiamo dire, attenendoci alle fonti storiche, che i primi idiomi parlati in Sicilia sarebbero stati il Sicano, il Siculo e l'Elimo; furono questi i primi popoli che, all'alba della storia, abitarono l'isola. A quanto pare il Sicano e l'Elimo, di cui si sa ben poco, non erano idiomi indo-europei, anche se la questione a tal proposito è molto controversa. Il Siculo, invece, era una lingua di origine indo-europea, molto imparentato con il latino.In seguito, a cominciare dall'anno 735 a.C., data di fondazione di Naxos, la prima colonia greca in Sicilia secondo Tucidide, si introdusse nell'isola anche la lingua Greca con la venuta di genti dapprima dall'Eubea (Calcidesi, quindi, di stirpe ionica), poi da altre parti della Grecia (soprattutto genti di stirpe dorica) che si stanziarono principalmente sulle zone costiere della parte orientale ..e così via fino all'emigrazione dei lombardi in Sicilia (verso il 1000 D.C.avvenne un insediamento di coloni provenienti dalla medievale Lombardia): sono i cosidetti dialetti galloitalici .Ecco sotto un esempio di parole che gli abitanti di Cassaro,Ferla,Palazzolo,Buccheri conoscono bene... armadio cantaranu grappolo rrappu acino cocciu forchetta bruccetta tazza suppera armadio amuarra pagliericcio iazzu culla naca coperta coutra fazzoletto maccaduri tovagliolo sarvietta grembiule fandali tronco zzuccu lucertola giaggiarda lumaca babbaluciu accendere addumare piovere cchioviri sali chiana
Il siciliano è il risultato della fusione dei dialetti italo-romanzi che caratterizzavano le popolazioni della Sicilia, già prima dell’arrivo di Greci, e Romani.La loro origine sembra essere di tipo indoeuropea, il che confermerebbe una natura totalmente distinta, del siciliano, dal volgare italiano. Secondo l’organizzazione Ethnologue, la sua peculiare struttura lo renderebbe un idioma a sé, e grazie a Federico II di Svevia è anche stata la prima lingua letteraria d’Italia. Si presume dunque che il siciliano possa derivare direttamente dalla lingua elìma, utilizzata dal popolo che ne occupava la parte più a Occidente, sicula e sicana. Vengono considerate sicane tutte quelle iscrizioni non indoeuropee, che sono state ritrovate sull’Isola, ma per il tipo di struttura, si presume che furono la lingua sicula, di origini latine, e la lingua degli Elimi, di origini indoeuropee, a costituire il nucleo centrale portante del linguaggio siculo. L’UNESCO ha riconosciuto al siciliano lo status di lingua madre, insieme ad altre lingue europee non a rischio di estinzione. Oggi, sono più di 5 milioni le persone che nel mondo parlano il siciliano; la maggior parte di loro è ovviamente dislocata nella Regione, ma vi è anche un numero imprecisato di cittadini statunitensi, argentini, australiani, canadesi, tedeschi e franco-belgi, i cui discendenti lo praticano ancora; negli Stati Uniti, nel corso della prima metà del XX secolo, si è persino venuta a creare una curiosa variante detta ‘siculish’, dalla sicilianizzazione di alcuni termini inglesi, utilizzata anche da Leonardo Sciascia nel racconto “La zia d’America”. Nonostante il siciliano non sia stato esplicitamente riconosciuto come lingua, dalla Repubblica Italiana, è stata comunque oggetto di diverse norme regionali volte alla sua promozione e valorizzazione, all’interno delle strutture culturali e didattiche siciliane. Le influenze più antiche sembrerebbero essere visibili oggi nei nomi attribuiti alle piante che popolavano, spontaneamente la regione; come ‘alastra’, che sta ad indicare genericamente una specie di leguminosa spinosa, oppure termini più tecnici che derivavano da quella che era la semplice vita contadina del tempo, e la spiegazione dei fenomeni che accadevano intorno a sé, come il termine ‘ammarrari’, che significa costruire un canale d’acqua o fermarne la corrente, oppure ‘calancuni’, un termine che sta ad indicare un’onda impetuosa o un torrente in piena. Tra i vocaboli di origine araba ritroviamo forse quelli più noti del siciliano, anche al di fuori dei confini della Regione; forse perché furono gli Arabi ad occuparsi dello sviluppo, agricolo, urbano e dunque economico, dell’Isola, nella sua totalità. Dalla parola araba ‘harrub’, deriva infatti il termine carrubo (da cui probabilmente derivò poi il castigliano ‘algarroba’), la parola ‘cassata’, il ‘dammusu’ e la ‘giuggiulena’, che oggi dà anche il nome ad un tipico dolce calabro-siculo fatto a base di semi di sesamo. Dall’arabo derivano inoltre ‘favara’ (sorgente), da cui probabilmente deriverebbe il nome dell’omonima città sita in provincia di Agrigento, il termine siculo di ‘zaffarana’, da cui lo zafferano in italiano, e di ‘zibbibbu’, della nota uva introdotta proprio dagli Arabi, che dà origine al Moscato di Pantelleria. Da parole arabe derivano anche i nomi di alcune città sicule, come Calatafimi, Caltagirone, Caltanissetta, (tutte derivate dal termine ‘qalʿa’, ovvero cittadella, fortificazione), Marsala e Marzamemi; Giarre, Misilmeri, Racalmuto e Regalbuto, e alcune espressioni come ‘Mongibello’, nonché alcuni cognomi come Butera, dalla nota famiglia nobile che occupò alcuni feudi della regione, che si pensa possa derivare da un'italianizzazione del nome arabo ‘Abu Tir’ (padre di Tir); stesso discorso per i Gedda, toponimo della nota città dell’Arabia Saudita, e dei cognomi Fragalà e Zappalà, che dovrebbero originare dalla traslazione di alcune espressioni idiomatiche quali ‘gioia di Allah’ o ‘forte in Allah’, e del toponimo Sciarrabba, derivante dalla nota bevanda alcolica del ‘sarab’. Dai franco-normanni, il siciliano ha mutuato diversi vocaboli, come ‘accattari’ cioè comprare, dal normanno ‘acater’ (da cui il francese ‘acheter’), che si trova anche nei linguaggi dialettali di altre parti meridionali d’Italia come la Puglia, la Calabria e la Campania, o ‘appujari’, cioè appoggiare. Stesso discorso per la ‘buatta’ (contenitore di latta o barattolo), usata ancora oggi anche nella lingua napoletana, ‘custureri’ (sarto), ‘firranti’ (grigio), ‘mustàzzu’ (baffi), da cui probabilmente deriva il termine mustazzolo, ad indicare il tipico dolce siciliano a base di vino cotto, sesamo, cannella, chiodi di garofano e pepe nero, che in Puglia viene preparato con mandorle, limone, cannella, farina e miele, e che si prepara, con ulteriori varianti, anche in Calabria e Campania; il termine ‘raggia’ (rabbia), anch’esso condiviso con altre lingue del Sud, e il termine ‘travagghiari’, dal quale sorge il francese moderno ‘travailler’ e il castigliano ‘trabajar’. Dalla dominazione aragonese derivano all’incirca 771 termini, tratti sia dal castigliano che dal catalano; un’influenza anche maggiore di quella della lingua greca, secondo il Dizionario Etimologico Siciliano di Salvatore Giarrizzo. Oltre al lessico, il siciliano è stato influenzato dallo spagnolo anche nella sua grammatica e struttura sintattica, che si riscontra nelle terminazioni verbali dell'imperfetto e del condizionale, ma anche in alcune espressioni idiomatiche e perifrastiche. Le parole più emblematiche sono sicuramente ‘tiempu’ (e tutti i termini simili come ‘vientu’, ‘chianu’), e il verbo ‘chiamari’ e simili. I termini presi in prestito dal catalano sono decisamente meno, ma comunque influenti: come ad esempio ‘abbuccari’, piegarsi, capovolgere (simile anche nel napoletano), ‘addunnarisi’, ‘stricari’ e ‘arriminari’, o ad esempio il verbo ‘dunari’, la cui coniugazione si mescola all’italiano ‘dare’, oltre alla ‘e’ originaria atona, così come appare nella parola ‘asempiu’. Non è inoltre da escludere che il pronome relativo e congiunzione ‘ca’, possa derivare dal catalano ‘que’. Per quanto strano possa sembrare, vi è una piccola percentuale di termini siciliani, che, a causa delle migrazioni in massa effettuate tra la fine dell’Ottocento e la prima parte del Novecento, in zone di lingua Anglosassone, hanno subìto l’ingerenza di termini inglesi e americani. Il secondo periodo di contatto inevitabile, tra le due lingue, è ovviamente posto alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le parole a questo proposito, più utilizzate e conosciute, sono ‘firrabbottu’ (da ferry boat), ‘bissinìssi’ (da business) e ‘friggideri’. by Enrica Bartalotta influenze sulla lingua siciliana in percentuale ![]() dialetto siciliano esempi traduzione
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